Appalto. Vizi dell’opera, garanzia.
Ai fini della risoluzione del contratto di appalto per vizi dell’opera è richiesto un inadempimento più grave di quello richiesto per la risoluzione della compravendita per vizi della cosa, atteso che, mentre l’articolo 1490 c.c. stabilisce che la risoluzione va pronunciata per i vizi che diminuiscano in modo apprezzabile il valore della cosa, l’articolo 1668, secondo comma, c.c. richiede per la risoluzione dell’appalto che i vizi dell’opera siano tali da renderla del tutto inidonea alla sua destinazione.
Pertanto, la possibilità di chiedere la risoluzione del contratto di appalto è ammessa nella sola ipotesi in cui l’opera, considerata nella sua unicità e complessità, risulti assolutamente inadatta alla destinazione sua propria, in quanto affetta da vizi che incidono in misura notevole sulla struttura e funzionalità della medesima, sì da impedire che essa fornisca la sua normale utilità; diversamentre, se i vizi e le difformità sono facilmente e sicuramente eliminabili, il committente può solo richiedere, a sua scelta, uno dei rimedi conservativi previsti dal primo comma dell’articolo 1668 c.c., salvo il risarcimento del danno nel caso di colpa dell’applatatore. Con la precisazione per cui incombe sul committente l’onere probatorio in ordine alla sussistenza dei vizi dedotti a fondamento della domanda di risoluzione del contratto, mentre compete all’appaltatore addurre l’esistenza di eventuali cause che impediscano al committente di far valere il suo diritto.
In tale senso si è espresso il Tribunale di Genova, Sezione VI Civ., 12 dicembre 2020, n. 2205.